Da Saint Jean a Santiago, in ogni città, paese o villaggio che fosse, in ogni albergue e bar ritrovo di pellegrini si parlava di lei, di quella ragazza che stava facendo qualcosa di forse mai visto prima. Unbelievable, incredibile, è stata una delle parole che più spesso ho sentito usare per descriverla, così come wonderful e fantastic, solo per citare quelle in inglese visto che lo spagnolo non lo capisco. Una donna italiana, stupita e meravigliata quando se l’è vista passare accanto, mi pare abbia ripetuto otto volte di fila “che donna!” guardandola a bocca aperta lungo il sentiero sassoso in salita prima della Cruz de Ferro. Altri le hanno addirittura affiancato l’appellativo “legend” perché chiunque sapeva di lei ma non tutti hanno avuto la fortuna di conoscerla.
Ho incontrato Marie nella seconda parte del mio cammino una mattina in cui, fermo ad un bivio nel buio prima dell’alba, non sapevo che direzione prendere. Stavo praticamente ancora dormendo, non avevo luce a sufficienza e non c’erano altri pellegrini in giro. Non vedevo le frecce gialle che indicano il percorso ed ero indeciso da qualche minuto quando dal nulla ho visto apparire quella silenziosa macchia bianca che inizialmente avevo scambiato per una pecora. Certo, non era il posto adatto per una pecora, era una via prossima ad una rotatoria dove transitavano le auto, ma non sarebbe stata la prima volta che vedevo animali come pecore o mucche muoversi liberi per strada. Poco dopo una torcia mi ha illuminato e una voce mi ha suggerito dove andare. Non era una pecora, era un carrello a tre ruote, qualcosa di simile a quello dei supermercati ma più basso e più spazioso, coperto da un telo bianco. A spingerlo era la leggenda. Due minuti dopo era già scomparsa nell’oscurità, velocissima.
Quel giorno ho incrociato Marie altre volte. Non sapevo ancora chi fosse. L’ho capito quando, con la luce, ho potuto vedere meglio cosa era ciò che avevo scambiato per una pecora. Era una specie di carrello-passeggino con un seggiolino all’interno e una bimba di un anno e mezzo bella come la madre comodamente seduta lì dentro che dormiva nonostante le intemperie e il sentiero accidentato. Quel giorno non sapevo nemmeno che da lì a poco i nostri cammini si sarebbero uniti. E’ successo un pomeriggio in cui, dopo Astorga, cittadina dove molti pellegrini si sarebbero fermati per la notte, mi sono ritrovato a camminare con lei perché entrambi non potevamo accontentarci di soli trenta chilometri, dovevamo farne oltre quaranta. Ci conoscevamo di vista ma solo durante quel tratto di strada sotto la pioggia abbiamo parlato davvero. Le ho raccontato della pecora e da quel momento, dopo una risata comune, il carrello-passeggino è diventato “the sheep”. Marie mi ha raccontato la sua storia. Partita anche lei da Saint Jean, camminava spingendo “the sheep” da un paio di settimane. Da sola. O meglio, con Charlotte. Ho fatto la stessa strada e so che deve aver avuto una forza di volontà e una determinazione sovrumana per arrivare sin lì percorrendo 35-40 km al giorno. Ci sono tratti, sia a piedi sia in bicicletta, in cui si fatica ad andare avanti. Sentieri pieni di sassi enormi, spesso in salita, in cui è difficile persino poggiare i piedi, figuriamoci spingere un carrello da quaranta chili con una bambina e i bagagli all’interno.
La sera, in un albergue di un villaggio praticamente disabitato, El Ganso, continuiamo a prendere confidenza. C’è complicità, è un sentimento nuovo quello che scopro. Marie ha solo 21 anni. Quasi inconsapevolmente fa nascere in me un qualcosa che mi spinge ad aiutarla e proteggerla. E non è che ne avesse bisogno. Forse ero io che sentivo la necessità di starle vicino. A cena incontriamo Simone, un ragazzo che avevo già visto in precedenza e che si unisce a noi la mattina successiva. Stiamo bene, procediamo alla grande. Ridiamo, cantiamo e i chilometri scorrono velocemente. Ci incoraggiamo a vicenda. Del resto non siamo esattamente in vacanza e la stanchezza e la fatica si fanno sentire. La gente ferma Marie per chiederle una foto, per scambiare due chiacchiere con lei, per poter dire di averla conosciuta e, ogni volta che accade, io e lei ci scambiamo uno sguardo complice. Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri che ricordano il contrasto tra i campi di grano dorati e il cielo blu delle meseta, gli altopiani infiniti con il nulla intorno che precedono Leon.
Il giorno successivo si unisce a noi un terzo ragazzo, Boris, austriaco. Tutti e tre, anche se in modo differente, mostriamo gli stessi sentimenti per Marie e la piccola Charlotte. Con l’avanzare del cammino, diventiamo parte della storia e ovunque la gente pian piano inizia a parlare della “leggenda” e dei tre angeli che la accompagnano. Io, Simone e Boris siamo orgogliosi di essere con Marie. Per scherzo, ci autodefiniamo “the three kings”, i re magi. Io scelgo di essere Melchior, quello di colore, perchè tra i tre sono il più meridionale. Simone è Balthasar, quello più possente, e Boris è Caspar. Abbiamo più o meno la stessa età, siamo molto differenti e altrettanto affiatati. Balthasar è grande e grosso, biondo e con gli occhi azzurri pure lui, generoso, simpatico e perennemente affamato. Beve più birra che acqua e cammina sulle sole gambe, senza bastoni o altri sostegni. E’ la montagna buona. Caspar è preciso, meticoloso, sempre attento e ottimamente equipaggiato. Parla tedesco e un inglese perfetto. Cammina aiutandosi con due racchette da neve. Su Melchior ho poco da dire. Lui vuole arrivare a Santiago nel giorno prestabilito. Cammina con un bastone di legno. Tutti e quattro (cinque in realtà, anche Charlotte fa ampiamente la sua parte) siamo qualcosa di importante, siamo una storia da raccontare, un’esperienza da vivere e non dimenticare. Di villaggio in villaggio, le voci su Marie si moltiplicano. In cima alle salite, a volte con pendenza esagerata, i ciclisti le dedicano applausi. I proprietari dei bar le regalano sempre qualcosa per la bimba, cioccolata, patatine, peluche. Le foto della gente si sprecano. Non ho mai visto qualcuno ignorare il suo passaggio: chi la indicava col dito, chi ne parlava a bassa voce, chi la chiamava, chi la fermava. Credo che chiunque abbia fatto il cammino ad agosto 2011 volesse poter raccontare di averla incrociata.
All’inizio Marie, anche nei tratti più difficili, non voleva il nostro aiuto, voleva farcela da sola. Ci limitavamo ad adeguare il nostro passo al suo, a starle vicino, a farla sorridere e incoraggiarla. Con il passare dei giorni, siamo riusciti a farle accettare una mano. Nel vero senso della parola. Una mano o due, a volte quattro, per spingere “the sheep” nei sentieri in salita, per frenarla nei sentieri in discesa, per sollevarla nelle scale e tra le rocce o in mezzo all’acqua.
Nonostante tutto sono arrivati anche i momenti di sconforto. Un giorno in particolare Marie era stanca, Charlotte si sveglia sempre almeno un paio di volte durante la notte ma in quelle ore credo non abbia proprio chiuso occhio. Dopo aver camminato per quasi quaranta chilometri non troviamo posto per dormire. Siamo in Galizia ormai, la meta è vicina, i pellegrini abbondano e gli albergue già nel primo pomeriggio sono al completo. Troviamo posto in uno stanzone comune messo a disposizione da un piccolo ristorante di un paesino di quattro case e otto anime. Marie crolla. Piange e sparisce nella chiesetta del paese per qualche tempo. Il nostro umore è a terra, non so se più per la fatica o per le lacrime di Marie. Lei non piange per la stanchezza, non solo almeno, piange per la sua situazione, per le decisioni da prendere con il padre di Charlotte, per le risposte che sta cercando in questo cammino. Non sappiamo come aiutarla. Io penso che forse dovrei proseguire da solo perché sono quello che ha meno giorni a disposizione per arrivare e non posso obbligare gli altri a seguire il mio passo. Anche Caspar pensa che potremmo separarci. Piove, siamo fradici, nemmeno ce ne accorgiamo. Ma quando Marie torna dalla chiesa, sotto la pioggia, sembra un’altra. Sorride. Ci ringrazia, sembra rinvigorita. Ci abbracciamo armati di buona volontà e ci organizziamo per la notte. A cena, su un tovagliolino di carta, le scriviamo un messaggio firmato “the three kings” per farla continuare a sorridere. Io e lei spesso ci siamo scambiati messaggi nei rispettivi diari, lei mi ha scritto in tedesco, io in italiano. Nessuno dei due ci ha capito niente ma il senso è inequivocabile. Tutti e quattro, con un bicchiere di vino in una mano e l’altra al centro della tavola, suggelliamo un patto: domenica dobbiamo arrivare a Santiago e dobbiamo farlo insieme.
Gli ultimi giorni sono un avanzare continuo. Non guardiamo più i chilometri che mancano né ci interessiamo ai nomi dei paesi, non consultiamo le cartine, camminiamo e basta. E sorridiamo. In certi tratti, nonostante i piedi distrutti, corriamo come bambini finché il fiato ci sostiene. Il tempo stringe ma abbiamo bisogno di un pomeriggio pieno per ricaricarci senza paura di non trovare posto per dormire. Così decidiamo di fermarci in un paese a circa settanta chilometri da Santiago quando mancano ormai solo due giorni. L’idea è quella di riposare, fare la spesa e cucinare insieme per la sera (a cena verranno fuori spaghetti con aglio, olio e peperoncino), ripartire presto l’indomani per fare almeno quarantacinque chilometri e arrivare a Santiago l’ultimo giorno prima di pranzo con soli venticinque chilometri sulle gambe.
Ci riusciamo. L’arrivo a Santiago è uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Arriviamo insieme di fronte alla cattedrale, ognuno con il proprio bagaglio di pensieri sulle spalle. Balthasar va a bere una birra. Caspar accende un lumino, forse prega. Marie è braccata da gente che vuole salutarla. Io getto lo zaino e il bastone e mi seggo per terra con gli occhi lucidi a guardare quello che ho davanti. E davanti non ho solo quello che vedo ma anche ciò che ho vissuto in quei ventitré giorni e che è impossibile descrivere con le parole. Sono immagini soprattutto, che mi mostrano da dove vengo e dove voglio andare non solo in termini di luoghi ma anche di persone, esperienze, ricordi, speranze. Non a caso, o forse sì, l’ultima foto che ho trovato sulla fotocamera riprende Marie di spalle che spinge “the sheep” in mezzo alla gente e continua ad andare avanti. Non so se la incontrerò di nuovo ma è sicuro che non smetterò di camminare.
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