Auguri! A te e famiglia, a te e lei, a te e i tuoi cari. Buon anno, buone feste e così via. E così sia. Gli auguri si fanno e si ricevono, per cortesia, per dovere e per affetto. Sono più di un saluto, sono una speranza, un desiderio di cose belle a favore di altri. Sono sinceri ma a volte sono una gran rottura, li devi fare quasi per forza, altrimenti qualcuno ci resta male. O peggio, devi ricambiare. L’aspetto più palloso è ricambiare. Se non li invii e non li ricevi, alla prossima occasione ritrovi tutto come prima, il capodanno è passato e il rapporto tra le parti è invariato. Se li ricevi, sei praticamente obbligato a rispondere e non sempre sei spontaneo, altrimenti ci avresti pensato per primo. Non sarò io ad andare controcorrente criticando questa usanza o parlando di un’anno di merda, perché non è vero, né interpreterò il ruolo di acido non augurando niente a nessuno. Non è così. Per cortesia, per dovere e per affetto, anche io mando gli auguri. E, cosa incredibile, li ricevo!
Mai nessuno che dica però “arrivederci”: ecco il miglior augurio. Non è prassi, è sempre valido e, pur rischiando di apparire banale, è un saluto meraviglioso, perché non significa soltanto che ci rivedremo, significa che ne abbiamo voglia, che ne ho voglia io, che ne hai voglia tu che ti rispondi e succederà se lo vorremo. Ma soprattutto un arrivederci implica che ci saremo e non è affatto scontato. Vaglielo a dire a quelli che si erano fatti gli auguri di un anno fantastico e non sono nemmeno riusciti a concluderlo. Arrivederci, ci saremo, ci rivedremo. Domani, tra un mese, l’anno prossimo. Io voglio esserci e voglio che ci siate e voglio rivedervi tutti. A partire da te. A te che cresci, a te che giochi, a te che sei, arrivederci.
Se vuoi…