Qualche anno fa, tra i tanti amici del web, ce n’era uno con cui scambiavo spesso più di una chiacchiera e non solo di quelle che si mangiano con lo zucchero. Allora non seguivo tanti blog, solo alcuni catturavano la mia attenzione, generalmente per lo stile della scrittura o proprio per il personaggio che si celava dietro. Oggi siamo tantissimi, ci accoppiamo e riproduciamo tra di noi e quei contatti si sono moltiplicati a dismisura. Li seguo saltuariamente perché sarebbe impossibile farlo in modo costante e forse è anche meglio, del resto succede così quando si incrocia un amico per strada e poche parole, un timbro di voce o un’occhiata bastano a recuperare la distanza dall’ultimo incontro. D’altro canto, imbattersi tutti i giorni nella stessa persona sarebbe un po’ palloso, per questo esistono già i colleghi.
Quindi, io con quel blogger “chiacchieravo”, in pubblico o in privato e non tanto di più di quanto facessi con altri. Mi divertivo, aveva la mia stessa ironia e sapevamo che l’ironia funziona come un amico comune quando ci presenta l’uno all’altro. Un giorno tuttavia, dopo qualche tempo passato senza vederlo in giro, vado direttamente a trovarlo sul blog che però trovo uguale all’ultima volta, nessun aggiornamento e nessuna risposta ai commenti. Sono andato a cercarlo nei giorni successivi, gli ho lasciato messaggi privati, ma non ho più avuto sue notizie nemmeno altrove, finché la piattaforma (Splinder) ha chiuso i battenti e le sue tracce si sono perse definitivamente nella rete. Tra l’altro, pur parlando di qualsiasi cosa, lavoro, donne, libri, cinema, problemi personali, seghe mentali, sport… no, sport no, non ne capiva una mazza, beh, io non ho mai saputo quale fosse il suo vero nome, né lui il mio. Sicché, evaporato Splinder, solo lui avrebbe potuto cercare Topper Harley, io il suo nickname non l’ho più beccato.
Mi sono chiesto tante volte se fosse morto con Splinder, nel senso di aver smesso, di non aver trovato interesse ad aprire o trasferire il proprio blog come ho fatto io su WordPress. Mi sono chiesto altre volte se fosse morto fisicamente, roba che nella mia testa allora era impensabile. A quel tempo immaginavo forse che nel web non si potesse morire, che un blogger – entità soprannaturale – vivesse per sempre, forte dell’idea che qui non siamo noi, siamo quello che scriviamo e leggiamo, siamo le nostre parole. Ma non è vero. Qui siamo persone, lo siamo nella vita di tutti i giorni e continuiamo ad esserlo quando indossiamo una o più maschere, usiamo lo schermo per proteggerci, storpiamo il nostro carattere o nascondiamo il fine ultimo della nostra presenza da queste parti, non sempre cristallino. Fatto sta che la gente muore pure nel web.
L’anno scorso è toccato ad un’amica, una signora molto carina che mi seguiva tramite Facebook e che mi aveva confidato di lottare contro un male purtroppo più forte di lei. Prima ancora una donna con un carattere fortissimo che scriveva poesie e che se n’è andata all’improvviso. Pochi mesi fa l’aldilà ha accolto un’altra amica che ammiravo per le sue foto. E insomma sono cose che toccano, certo diversamente dalla scomparsa di un amico che si conosce in carne ed ossa, ma toccano. Soprattutto se le loro immagini e loro parole in qualche modo continuano a girare per il web e se ne percepisce la presenza. Forse è questo il senso di ciò che pensavo un tempo, che i blogger non muoiono mai. E io, piccolo blogger semi-sconosciuto che di sparire non ha la minima intenzione e che non ha mai postato articoli memorabili, mi domando chi mi cercherebbe se smettessi di scrivere. Nessuno probabilmente. Però, per non lasciare nessuno nel dubbio a differenza di come è accaduto a me con l’amico sparito, quando sarò morto pubblicherò un post di addio, una foto Instagram della lapide di cartongesso che avrò sulla testa e, se mi andrà, anche un libro postumo.
Se vuoi…