“Resta qui e aspettami” dico, uno sguardo fugace e mi allontano. Percorro un tunnel buio, ho un sorriso più di circostanza che di piacere, mi tremano le gambe. Ma vado avanti pur non sapendo bene cosa mi aspetta. L’attesa è lunga e in quel corridoio non c’è nulla con cui distrarsi se non perdersi nei propri pensieri. Solo delle grida in lontananza, ogni tanto, mi scuotono. Eppure, nemmeno per un momento ho pensato di fuggire.
I ricordi affiorano, tutti etichettati come paure. Il primo che mi viene in mente risale a circa vent’anni prima, quando ancora vivevo con i miei. Durante la notte, nel sonno profondo, mi sento afferrare le gambe, come se un’enorme forza volesse buttarmi giù dal letto. Mi sveglio e per una frazione di secondo immagino che stia accadendo qualcosa di brutto e violento in casa. Mi alzo e scappo di corsa ma non verso la porta d’ingresso, corro dalla parte opposta, verso la camera dei miei genitori, anch’essi in piedi e spaventati. Ignoro mio padre e subito abbraccio mia madre, per proteggerla o per farmi proteggere. In quel momento capisco, è un terremoto. Trema ogni cosa, saranno trascorsi pochi secondi da quando sono scattato eppure, ora che ho acquistato lucidità, mi tranquillizzo, divento un pezzo di ghiaccio. Non ho mai creduto che un terremoto potesse spaventarmi. Arriva la quiete, bisogna uscire, i miei mettono qualcosa addosso e raggiungono per strada il vicinato. Io temporeggio, mi lavo persino i denti, poi scendo. Non è successo niente.
Ci sono delle frecce luminose nel tunnel che mi indicano la direzione. Procedo lentamente, non riesco a fare di meglio. Salgo una scala che sembra un’uscita di emergenza. Io però sto entrando.
Un altro ricordo legato alla paura riguarda mio padre, pochi anni fa. Per un paio di giorni ha accusato giramenti di testa e cali di pressione. Quando sembrava che stessero passando, ritornavano senza preavviso. Per la prima in vita mia l’ho visto debole, per la prima volta in vita sua ha chiesto aiuto. Era un segnale che non potevo ignorare. L’ho aiutato a camminare e anche questo non era mai successo. Andando al pronto soccorso, continuava a ripetere che non poteva permettersi di ammalarsi e lasciarci soli in quel periodo. Era chiaro che nella sua testa il timore non era di ammalarsi, era ben altro. E’ una paura che abbiamo tutti: perdere le persone che amiamo, nei rapporti, nei sentimenti o nella vita. I medici tuttavia ci conforteranno e così tutte le analisi nei giorni successivi. Non è successo niente.
In pausa pranzo prendo la moto per una veloce commissione. Eppure non vado veloce, nonostante sia in autostrada. Ho un flash, l’immagine di un guardrail lunghissimo che si avvicina improvvisamente. Non saprò mai se si tratta effettivamente di un ricordo o di una proiezione della mia mente ma sono certo che per un attimo, per un solo attimo, ho avuto paura di non farcela, di questo sono certo. Allo stesso modo non saprò mai come e se sono caduto, se ho perso il controllo, se mi hanno tamponato, se sono svenuto mentre ero in sella. Eppure, anche stavolta, non è successo niente.
Da piccolo, mentre dormo profondamente e un riflesso di luce filtra dalla finestra, vengo svegliato dal rumore del vento. Rimango in dormiveglia a guardare l’enorme tenda che si gonfia e ondeggia lungo la parete. C’è un clown appeso lì, un pagliaccio che sta in casa da prima che io nascessi. Osservo la tenda quasi ipnotizzato, finché una mano compare da dietro all’improvviso e in un lampo afferra il pagliaccio per farlo sparire. Mi accorgo della sagoma di un uomo dietro la tenda. Cerco di gridare ma, come spesso accade nei sogni, la voce non viene fuori. Mi sveglio nel panico, sudato. E’ stato proprio un sogno, il pagliaccio è ancora lì e la tenda probabilmente non si è mai mossa. Non è successo niente.
Non ho mai subito l’influenza di particolari fobie nella mia vita. Che so, mi fanno un po’ impressione le blatte o i gechi e, se ne dovessi incrociare uno ad un’altezza superiore alla suola della scarpa, probabilmente farei un balzo all’indietro per allontanarmi, d’istinto. Non è un vero e proprio spavento. A parte questi pochi episodi, ritengo di non aver mai provato il vero senso della paura, anzi sono sempre stato piuttosto intraprendente, alla ricerca continua di adrenalina ed emozioni che potessero spostare i miei limiti un po’ più in là. Sempre di più.
Ecco perché sto percorrendo il tunnel. Sono quasi alla fine. Il battito del cuore accelera. Messaggi ambigui vengono registrati dai miei occhi: black hole, vortice, condotto spazio-temporale, caduta verticale. Supero un tornello, sono l’ultimo. Un solo posto libero è rimasto, nella prima fila, la peggiore. Mi seggo, sono pronto. Non può accadermi nulla, devo andare a riprendere mio nipote che mi aspetta di sotto. Del resto, sono a Gardaland, questo Oblivion non può spaventarmi.
Se vuoi…