C’era una volta – ma anche due e potrebbe essere un c’è ancora – un piccolo, riservato, forse superbo uomo che percorreva un’esile fune, in un andirivieni continuo tra la voglia d’innamorarsi e l’ossessione per i propri spazi, come se quel suo sfrontato equilibrio da “single per scelta” mettesse a riparo la fune dall’usura.
C’era una volta – ma anche due e potrebbe essere un c’è ancora – un cinico, incostante, forse ostinato uomo, mosso da un non so quale irrequieto impulso che lo costringeva a viaggiare ogni volta che si fosse presentata la voglia di un qualche contatto. “Prima o poi confonderai la tua ombra e non riuscirà più a seguirti” lo ammoniva qualcuna. “Le insegnerò ad usare il TomTom” sferzava l’uomo. E così continuava ad andare e tornare. Ad andare lontano lontano quando la voglia di un contatto umano richiedeva il suo impegno e a tornare vicino (ma non vicino vicino) quando la voglia di un contatto fisico rendeva tutto più facile.
C’era una volta – ma anche due e potrebbe essere un c’è ancora – un irraggiungibile, ermetico, forse troppo libero uomo che credo fosse tra le persone più sole mai conosciute, ma ormai così corrotto dalla solitudine da doverla, inconsapevolmente, difendere. Credo che, nonostante il desiderio, pensasse di non potersi innamorare e che avesse ormai accettato quella condizione come una realtà indiscutibile.
C’era una volta – ma anche due e potrebbe essere un c’è ancora – un uomo sorprendente, creativo, di sicuro con moltissimo da dare che, una volta catturato da uno sguardo, si accostava ad una finestra per fiatarci su e disegnare la felicità in modo da rendergliela.
Da tempo provo a raccontare questa storia ma non sono mai riuscita ad andare oltre l’inizio, pur cambiando ogni volta prospettiva.
Un motivo ci sarà.
Se vuoi…