Non mi aspettavo questa richiesta così cruda e indelicata. Stavamo socializzando seduti al tavolo, tra non molto avremmo rotto il ghiaccio, forse qualcuno ci avrebbe portato da bere, perché andare dritti al sodo senza preliminari?
«Completamente».
OK, deve essere una candid camera. Sapevo che un giorno sarebbe capitato anche me. Facile, sto al gioco, faccio il figo e aspetto che qualcuno appaia da dietro la tenda per dirmi che è uno scherzo.
«Tenga i boxer ma tolga il resto».
Allora sei stronza. Completamente vuol dire completamente, tutto. In effetti sarebbe stato un po’ insolito e comunque non ho mai avuto intenzione di togliere i boxer. E nemmeno i calzini.
«Tolga anche i calzini».
E ti pareva.
«Quando ha tolto tutto si stenda sul lettino, io arrivo subito».
In realtà non va da nessuna parte, è appena dietro lo stipite della porta, girata dall’altra parte come fanno i commessi quando ti porgono l’apparecchio del bancomat per pagare e si voltano per non guardarti mentre inserisci il PIN. Sembra che vadano a farsi un giro, camminano pure e muovono le gambe ma restano sempre nello stesso punto.
«Bene, diamo un’occhiata».
Molto ambigua questa situazione. Fosse stato un cesso o, peggio, un uomo, avrei terminato la visita e me sarei tornato a casa con la testa a posto.
«Cos’ha qui?».
E’ la mia caviglia quella che sta guardando con una lente d’ingrandimento enorme. Ha notato un graffio ma non è per quello che sta ispezionando il mio corpo completamente nudo a parte i boxer.
E’ bionda. Bionda naturale, non ho ancora le prove ma ci sto lavorando. Ha gli occhi azzurri e un sorriso sincero. Viso pulito e mani curatissime. Nonché un anello, sull’anulare sinistro, che mi fa capire quanto guadagna il marito, almeno il triplo di quanto guadagno io in due mesi. Non è altissima, però nessuno potrebbe dire che è bassa, anche perché l’altezza sarebbe l’ultimo dei pensieri di chi la guarda. Indossa stivali e pantaloni casual che spuntano da sotto il camice bianco. La voce è il penultimo dei pensieri di chi la guarda, tuttavia appare decisa e simpatica.
Dalle caviglie passa alle ginocchia, si sofferma sulla coscia sinistra, poi va avanti. Scosta leggermente i boxer e io deglutisco. Guardo dietro la tenda, nessuno salterà fuori per mostrarmi le telecamere nascoste.
«Questo è interessante».
La sua attenzione è sul mio inguine. Il mio inguine ricambia l’attenzione.
«No, niente. Bene così».
Se lo dici tu.
«E questo, cosa rappresenta?» mi chiede indicando il tatuaggio che ho sulle costole.
Le rispondo e subito dopo le chiedo da dove viene, il suo accento non è del luogo. Mi risponde e subito dopo mi chiede da dove vengo io, non perché gliene freghi qualcosa ma perché «dovrebbe usare delle precauzioni…».
«Cosa?» dico io.
«…quando sta al sole».
Ah.
«E’ evidente che lei prende il sole in maniera sconsiderata, senza alcuna protezione. La sua pelle non mente».
Mica volevo prenderla in giro. Anzi.
Quando esplora il mio petto ho la possibilità di osservarla molto da vicino anch’io. Gli occhi sono chiarissimi, come la pelle del viso e del corpo intero. E’ ben proporzionata ma, più che ad una proporzione, mi fa pensare ad un’equazione in cui l’incognita è il suo profumo, non lo sento. Poi mi ricordo di essere raffreddato e di avere il naso chiuso, non potrei sentire alcun odore. Tuttavia sono sicuro che non sa di patatine al formaggio.
«Si metta a pancia in giù».
Dalle spalle scende sino ai piedi e, nuovamente, sorvolando la zona boxer, li scosta appena per guardare meglio non so cosa.
«Ora si metta seduto».
Osserva ancora qua e là con la lente gigante.
«Direi che è tutto a posto. Vuole che controlli anche sotto i boxer?».
Deglutisco per la seconda volta. In tutta la vita, intendo. Io non deglutisco mai.
«Non c’è bisogno, lì è tutto a posto».
Dopo tutti i suoi doppi sensi, chissà se ha colto il mio.
«OK, si può rivestire».
E’ stato breve ma intenso. Finiamo di socializzare al tavolo, mi chiede il numero di telefono. Poi anche l’indirizzo di casa. E l’indirizzo email. Sorrido, forse forse… Quando mi domanda il codice fiscale, capisco che non è interessata a contattarmi. Sta solo compilando il referto. Parla per dieci minuti di fila, accenna ai suoi studi, descrive la sua esperienza, mi riempie di termini e concetti nel suo gergo medico che non capisco, mi consiglia di non prendere troppo sole e mi suggerisce una protezione trenta, «tanto, la cinquanta, lei non la userà mai».
«L’accompagno, così faccio una copia del referto» dice concludendo la filippica.
Usciamo dalla stanza e mi accompagna alla porta, gentile e servizievole. Poteva farlo la segretaria che è lì accanto. Sembra che abbia fretta, eppure lo studio è deserto ed è ancora presto per chiudere. Sono sulla soglia, con un piede già fuori. Per due volte mi saluta augurandomi una buona serata. Per due volte la interrompo con domande stupide come se qualcosa mi impedisse di uscire completamente. E non sono i boxer.
«Dottoressa, scusi» le dico improvvisamente. «E la fattura?».
Se vuoi…