Bellissima è riduttivo e troppo elementare come aggettivo, anche perché non è bellissima, è una visione e una visione non è mai così chiara da poter essere definita con degli attributi. Il taglio degli occhi mi folgora. I capelli raccolti mi ingannano: sembrano corti ma quando la sua mano delicata si adopera per scioglierli scopro che, lunghi, le donano ancora di più e che il nero è il suo colore. Il vestitino è estivo ma meno sofisticato degli altri, le scarpe adeguate al portamento, le gambe lisce sorreggono un fisico che sembra perfetto. Non abbronzato, non formoso, con una linea come piace a me che ancora non ho capito se devo smettere di bere. Quello che però mi annienta è il sorriso, ne ricordo pochi così semplici e coinvolgenti. Impossibile non sorridere osservando quella bocca e quei denti, impossibile non osservare sorridendo e cercando di ricambiare ciò che non potrò mai ricambiare, cioè quella sensazione di benessere e pacifica irrequietezza da cui si viene investiti quando qualcosa di tanto affascinante ci sovrasta. Ed è qui che inizia il conflitto interiore tra el barrio gotico ed el raval: da un lato, il crogiolarsi ad ammirare la bellezza lasciando inalterata la storia e soprattutto il presente; dall’altro il fermento e la voglia di dare un seguito a un mercato di emozioni, tendenze e idee che cercano di trovare una strada e rilanciarsi.
Di fatto resto nel mezzo. Non mi fermo ma cammino su e giù per la Rambla, la sola strada al mondo che vorrei non finisse mai, come disse qualcuno. Perché lei è lì a pochi metri, sorride ignara dell’effetto che ogni suo movimento provoca sui miei passi e non mi dà scampo. Mi guardo a sinistra credendo che non potrò mai parlarle e a destra pensando di dovermi buttare ma so che una minuscola possibilità di arrivare a lei esiste e io devo coglierla. Forse non stasera, forse non domani. Forse l’ho già colta quando ho deciso di scriverne o forse l’ho persa quando lei si è alzata, ha salutato tutti ed è andata via.
Se vuoi…