Quando ero diverso, tu non saresti uscita illesa da casa mia, non pulita e candida come ci sei entrata. Invece non solo hai dormito nel mio letto, ti sei stesa con me sul divano, hai ingurgitato il mio alcool e bagnato la mia doccia ma sei anche andata via portandoti dietro un solo mio bacio sul collo. Perché il rispetto e l’amore a volte non hanno la stessa faccia.
Quando ero diverso, tu eri diversa. Eri più viva, allegra, desiderosa di fare, di andare e non tornare, di tornare indietro e ricominciare, di gridare e non tollerare, di lottare pur senza nemici, di muoverti o star ferma spostando il mondo. Avevi quella personalità distaccata e acida tipica del tuo anno, la stessa che ti ha portato via da me e che ti ha fatto finalmente diventare grande. Ti ritrovo oggi spenta e quasi rassegnata, forzatamente allegra e appagata come mi diceva tua madre quando ha capito che saresti cambiata per sempre. Eri migliore quando hai ucciso, il delitto non ha pagato. Ha solo ucciso il morto, rovesciandolo e risvegliandolo.
Quando ero diverso, a te che resti lì ad osservarmi da lontano all’interno della tua campana di plastica e vetro, avrei recapitato due oggetti: un martello e una matita. Il primo per fare rumore, lasciandoti credere che ti avrebbe aiutato a frantumare un passato recente ma che invece sapevo potesse solo battere nel silenzio assordante del nulla. La matita ti avrebbe permesso di scrivere un nuovo futuro. Breve, perché il temperino lo avrei avuto io. Oggi preferisco di gran lunga tenere io la matita e chiedere a te il temperino. Il martello lo do in testa a quella smorfiosa con gli occhi dipinti che tutti quanti fan ballare.
Quando ero diverso non facevo storie, guardavo quelle degli altri e mi impadronivo di una parte di loro per viverne un capitolo. Ora che sono cambiato, i capitoli li scrivo e invito gli altri a farne parte senza bandiere né trombette, solo con due parole, una porta aperta e un bicchiere di vino.
Se vuoi…